La storia di Alessandra

Quella mattina sono arrivata nello studio del genetista un po’ per caso. Le tre sorelle di mio padre erano in ospedale per un test genetico e io sono semplicemente passata a salutarle. Non avevo ancora 25 anni e non avevo mai sentito parlare di mutazione BRCA. Sapevo solo che purtroppo il cancro era in qualche modo “di casa” nella mia famiglia: mia zia era lì perché aveva scoperto un tumore al seno, mia nonna era morta l’anno prima e una mia zia paterna se n’era andata a soli a 30 anni.

 

Quella mattina, su consiglio del genetista, il test l’ho fatto anch’io. E quella mattina ha cambiato la mia vita. Dopo 10 mesi ho saputo che il risultato era positivo per la mutazione BRCA1, il che per me significava l’80% di probabilità di ammalarmi. Io ero sana, piena di vita e di entusiasmo, avevo appena comprato casa con il mio fidanzato. Non volevo lasciarmi schiacciare dalla paura e insieme a lui - che mi ha sposato e mi è rimasto accanto in tutti questi anni – ho deciso di concentrarmi sull’altro 20%.

 

Con l’equipe medica dell’ospedale di Varese abbiamo scelto un percorso di sorveglianza con controlli ogni 6 mesi: un’altalena di adrenalina, paura e sospiri di sollievo che mi ha accompagnato fino ai 35 anni, la data che avevamo fissato per un intervento di chirurgia preventiva. A quel punto, quando il mio secondo bimbo aveva circa un anno mezzo, ho affrontato la sala operatoria togliendo i seni e le ovaie in un unico intervento.

 

Ero in qualche modo consapevole che in quella sala operatoria avrei lasciato un po’ della mia femminilità e la menopausa mi ha fatto tanta paura. Tanta. È stato sicuramente un percorso difficile, in alcuni momenti lo è ancora. Ma oggi, a distanza di sei anni sorrido a quel 20% che ho scelto di far crescere, perché il fatto di sapere di essere mutata è stata soprattutto una grande opportunità. Un dono e una fortuna.

 

Alessandra Birtolo, 42 anni, fisioterapista di Luino