Mutazione BRCA 2 e risposta alle cure chemioterapiche

Salve Gentile Dott.ssa,

di seguito Le riporto la storia clinica di mia madre.

Operata il 17/02/2014 all'età di 57 anni (ora ne ha 59) per k ovarico di alto grado. L'intervento è consistito in LIAB + Omentectomia + Peritonectomia pelvica + Stripping diaframmatico. (ricordo con certezza che nell'istologico non si parlava di linfonodi coinvolti) Successivamente sei cicli di chemioterapia da 6h circa l'uno con carboplatino e taxolo e dal secondo ciclo in poi è stato abbinato l'avastin per 22 cicli ogni tre settimane, proprio come la chemioterapia, con meno effetti collaterali fortunatamente. Da quel momento in poi ogni controllo, TAC con mdc (l'ultima proprio una settimana fa), marcatori tumorali, ecografie ecc. sono risultate pulite e senza problemi, con assenza di formazioni linfonodali o qualsivoglia traccia di un ritorno della malattia. Quindi sembrerebbe filare tutto liscio. L'unico problema attuale consiste nel fatto che mia madre è risultata positiva alla mutazione genetica BCRA2 e quindi il suo problema è di natura genetica e adesso si sottoporrà ad uno screening mirato per verificare eventuali problematiche al seno e successivamente ci sarà un intervento di mastectomia preventiva e successiva ricostruzione per limitare il rischio di un'insorgenza di un tumore. I dottori dicono che la possibilità viene limitata al 5%, cioè al di sotto della media generale. Ciò che mi stupisce della storia di mia madre è la speranza che i dottori le hanno trasmesso sin dall'inizio (apparentemente un qualcosa di giusto e sensato) affermando che lei si trova in cura in un centro altamente specializzato sia sul piano chirurgico (le parole loro sono state : " stia tranquilla in sala operatoria noi vediamo cose che sicuramente in molte altre parti non riescono a notare "quando mia madre ha chiesto come fosse andato il suo intervento durante uno dei pre- colloqui con le oncologhe prima della chemio) e sia nel recupero del paziente dopo l'intervento e terapie annesse. Mi scuso in anticipo su ciò che sto per dire ma questa cosa mi da un po' fastidio perché tengono il paziente all'oscuro di tutto, anche quando il paziente vuole sapere e/o chiedere cosa gli aspetta in futuro e sappiamo tutti che quello che interessa di più è ottenere la completa guarigione non una cronicizzazione della malattia né quantomeno un posticipo del suo ritorno, ma questo si legge facendo qualche banale ricerca o documentandosi un minimo. Che si tratta di un tumore che tende a recidivare molto spesso, specie se diagnosticato in maniera tardiva, nonostante un'ottima risposta alle terapie. Ovviamente avrei preferito leggere storie di guarigioni ma ho appreso di recidive al fegato, cerebrali, nelle zone pelviche e quant'altro di cui non sapevo quasi niente e sinceramente avrei preferito poter apprendere queste notizie direttamente dall'equipe medica che segue mia madre, giusto per evitare di cascare dalle nuvole quando arriverà la notizia della recidiva che ho messo ampiamente in conto, senza dire nulla a mia madre che si fida delle parole dei dottori. Chiudo qui questo breve sfogo elogiando comunque il reparto di ginecologia oncologia di un ospedale di Roma che segue mia madre in ogni aspetto (non mi va di fare nomi ma è un punto di riferimento per tantissime pazienti) e formulo la mia domanda: E' vero che i tumori derivati da una mutazione genetica hanno una sensibilità maggiore alle cure chemioterapiche? Lo stavo leggendo su alcuni fonti in lingua americana e spero di aver capito bene. Rimango in attesa di un Suo riscontro.

Grazie ancora per l'attenzione.

RC


Buongiorno,

mail come la sua mi fanno capire come il mio lavoro e il lavoro dei miei colleghi sia complicato, delicato e diventi ogni giorno piu' difficile. Il nostro lavoro e' una danza in punta di piedi tra il proteggere la paziente, darle speranza e nello stesso tempo curarla e curare la malattia. Ha ragione, il tumore dell'ovaio recidiva nel 70% delle nostre pazienti e noi non siamo in grado di prevenire questo evento, ma siamo diventati molro bravi a curarlo, a cronicizzare la malattia. Vede lei dice che non si accontenta della cronicizzazione, che lei vorrebbe la guarigione. Ha ragione, lo capisco, ma la realta' e' che questo non si puo' ottenere, o almeno lo si puo' ottenere in pochissime persone. Nella maggior parte dei casi siamo in grado di prolungare la vita e questo non e' poco se pensa che fino a pochi anni fa la sopravviveza mediana di una paziente che si ammalava di tumore ovarico era 40 mesi, se la malattia recidivava come sensibile alla chemioterapia, oggi e' di 54 mesi. E questi numeri si allungheranno ancora, e noi lo speriamo tanto e ci dedichiamo ogni giorno la vita, con l'arrivo dei nuovi farmaci. Questi numeri pero' sarebbero tropppo pesanti emotivamente per la maggior parte delle pazienti, a cui, al contrario, dobbiamo tutti, noi medici e voi parenti, dare continue iniezioni di speranza, perche' nessuno davvero sa cosa c'e' dietro l'angolo, e nessuno puo' sapere se arriverà un farmaco che potrebbe ulteriormente cambiare la situazione, mai come in questo momento la ricerca e' stata attiva. Per cui coraggio, e' vero che la famiglia riceve purtroppo le risposte peggiori alle domande che pone, ma i pazienti vanno protetti e incoraggiati. Anche perche' noi non conosciamo ancora tante cose della biologia del tumore. Oggi per esempio sappiamo, e fino a pochi anni fa lo ignoravamo, che le pazienti mutate rispondono meglio ad alcuni tipi di chemioterapia e pertanto sopravvivono di piu'. Come vede abbiamo tante speranze che arrivano dalla medicina, e la speranza non va negata ne' va tolta alle pazienti. E il nostro lavoro e' difficilissimo, perche' da un lato diamo ogni giorno brutte notizie, dall'altro siamo chiamati a dare iniezioni di speranza a pazienti che altrimenti smetterebbero di combattere, e questo non ce lo possiamo permettere. Possiamo uscire da tutto questo solo con una forte alleanza tra medico, paziente e famiglia, perche' questa e' una battaglia che combattiamo insieme.

L'abbraccio

Ketta Lorusso