Niraparib in prima linea

Il mese di dicembre ha segnato un altro passo importante nella cura del carcinoma ovarico avanzato. 

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha infatti dato il via libera all’uso del PARP inibitore Niraparib come terapia di mantenimento in prima linea per le pazienti con carcinoma ovarico epiteliale di alto grado avanzato (FIGO Stadio III e IV), alle tube di Falloppio o peritoneale primario, in risposta completa o parziale dopo chemioterapia a base di sali di platino.

Niraparib è il primo PARP inibitore ad essere indicato per il trattamento di mantenimento in prima linea di tutte le donne, sia in presenza che in assenza della mutazione BRCA.
A beneficiare di Niraparib non saranno quindi solo le pazienti con carcinoma ovarico BRCA mutato (circa una su quattro tra quelle in stadio avanzato) ma anche le pazienti prive di mutazione BRCA (circa tre su quattro). Inoltre, nel caso delle pazienti BRCA mutate, la disponibilità di niraparib offre all’oncologo l’opportunità di scegliere il PARP inibitore più appropriato sulla base delle caratteristiche di ogni singola paziente. 

A sostegno della nuova indicazione di Niraparib ci sono i risultati dello studio PRIMA, che ha dimostrato nel contesto di mantenimento di prima linea un beneficio in termini di tempo libero da recidiva clinicamente e statisticamente significativo, sia nelle pazienti BRCA mutate (60%), che in quelle senza mutazione BRCA (57%). Nella popolazione complessiva niraparib ha ridotto il rischio di progressione o morte del 38% rispetto a placebo. Questi risultati sono particolarmente importanti in quanto l’80% delle pazienti dopo la chemioterapia va incontro a recidiva. 

Le pazienti hanno anche un ulteriore vantaggio - ha dichiarato Domenica Lorusso, Professore Associato di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile della Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Gemelli – che consiste nella somministrazione orale al domicilio che, dopo la chemioterapia, ben si concilia con il ritorno a una vita il più possibile vicina alla normalità”.

L’efficacia del farmaco indipendentemente dalla presenza di una mutazione BRCA non elimina comunque la necessità al momento della diagnosi di sottoporre tutte le pazienti al test BRCA sia per il valore prognostico che il test ha per la paziente sia per l’opportunità di prevenzione primaria che il test offre ai familiari sani della paziente che possono aver ereditato una maggior predisposizione alla malattia e che quindi possono sottoporsi a percorsi di controllo e di riduzione del rischio.  
Continua quindi la rivoluzione terapeutica nel trattamento del tumore ovarico seppure nella complessità del contesto che caratterizza questo tumore ginecologico che in Italia interessa circa 50mila donne con 5200 nuove diagnosi/anno.